Questo libro, che tutti dovrebbero leggere e dovrebbe essere adottato in ogni scuola italiana, è stato scritto da Gianfranco Stella , nato nel 1946, scrittore e saggista di testi di storia contemporanea, plurilaureato.
Gran parte delle sue opere sono dedicate alle vicende del dopo “liberazione” , al fatto innegabile, e per fortuna sempre più consapevole da parte di tutti, che il movimento partigiano fu solamente un mito ingigantito e inculcato a forza nella testa della gente, niente altro, e che non abbia niente a che fare con la vera realtà storica dei fatti.
Venne perfino denunciato, nel 1998, dai vigliacchi partigiani dell’anpi, i vari Gallo, Boldrini, Arrigo…,perchè in uno dei suoi libri aveva raccontato la strage di Codevigo, Ravennati contro – La strage di Codevigo, perpetuata dai partigiani della 28° brigata comandata da Bulow (A.Boldrini), nel maggio 1945.
Quando dire la verità fa bruciare le chiappe dei codardi!
Fu giustamente assolto da tutte le accuse perchè fu confermato che aveva solamente riportato la verità dei fatti.
In questo libro troverete la strage dell’8 Giugno 1945 in cui troppi ex fascisti furono assassinati dai partigiani comunisti, gli omicidi e le vigliaccate di gente come Italo Scalambra, detto Gino ( a cui idioti a Ferrara hanno perfino dedicato una strada) e del suo scagnozzo Umberto Bisi e altri assassini criminali come Gino Tartari detto Pazzarella, sanguinario killer seriale di Porotto; Remo Bonzagni, “responsabile d’un impressionante numero di omicidi”; Sergio Dal Piai; Claudio De Fenu capitano Gravelli; il partigiano Primo Ghini detto Manaza, di Argenta; Elia Marinelli, organizzatore dell’eccidio di undici ex fascisti prigionieri, a Comacchio; e quel Sesto Rizzati Sergio, commissario politico della 35ª Brigata ferrarese ‘Bruno Rizzieri’ e “spietato killer comunista”: fu autore di un raccapricciante memoriale con nomi e cognomi di suoi compagni (tra i quali un futuro sindaco di Ferrara) che, nell’ambito di una rivoluzionaria epurazione locale, in quell’estate di sangue ‘45 compilavano le liste dei concittadini da eliminare.( ultimo pezzo tratto dal sito Estense.com).
Tra le sue pubblicazioni riferite alla guerra civile ricordiamo: Ravennati contro – La strage di Codevigo; Rifugiati a Praga; Il caso Marino Pascoli; Partigiani anonimi e persone scomparse; I lunghi mesi del ’45.
Intanto ricordiamo cosa raccontò l’ex partigiano Giuseppe Bonzio di Milano sessant’anni dopo la “liberazione”:
“Sono stato partigiano, avevo 22 anni. Mi trovai in difficoltà con gli altri partigiani, quasi tutti reduci di guerra, io ero il più giovane, finita la guerra ci fu una tremenda orgia di sangue con la caccia al fascista. Non soltanto venivano maltrattati quelli che aderirono al fascismo, ma tanti altri che col fascismo non avevano mai avuto nulla a che fare. Un partigiano -però in quel momento si facevano chiamare partigiani anche molte persone malfamate: ladri, provocatori, gente che viveva di espedienti, furto soprattutto- andò nella casa di un impiegato comunale e volle che quella casa diventasse sua. Costrinse il malcapitato a firmare un foglio nel quale era detto che quella casa la vendeva al partigiano e pretese che la famiglia dell’impiegato uscisse di casa. Ho visto un carcere strapieno di gente, uomini, donne, bambini, arrestata dai partigiani perché fascista. Ricordo di una donna che piangendo mi disse che lei non si era mai occupata di politica. L’avevano arrestata perché non voleva cedere la casa ad un partigiano. E poi altri fatti dolorosi che mi costrinsero a ritirarmi. In quelle settimane in cui ero partigiano non ho visto altro che violenze, appropriazioni indebite, furti, ricatti e stupri. Dalle mie parti i partigiani erano renitenti alla leva, disertori, e questi erano i meno facinorosi. Gli altri erano ladri, assassini evasi dalle carceri, ergastolani, delinquenti comuni, tutti nascosti nelle nostre montagne, dove gozzovigliavano, rubacchiando derrate ai poveri abitanti di quelle terre. Quando arrivarono gli americani a liberarci i partigiani uscirono dai loro nascondigli, si misero i fazzoletti rossi al collo e raccontarono che erano stati loro a liberare l’Italia e pretesero tutti di essere assunti negli enti pubblici anche se erano analfabeti. Quei figuri erano considerati dai miei concittadini la peggiore feccia del’umanità”….
E per non farci mancare niente ricordiamo anche che tra gli alleati “liberatori” c’erano anche i così detti goumiers.
Costoro erano i goums maroucains, soldati arabi assoldati dai francesi.
Infatti uno su cinque di loro era francese ed erano per lo più legati da legami di parentela.
Indossavano sandali al posto di anfibi e stivali, mantelli di lana e turbanti al posto delle divise e avevano, inseme alle armi da fuoco, un koumia, il pugnale ricurvo con cui decapitavano e mutilavano i nemici collezionando le loro orecchi e, sidice, anche le dita e le parti intime.
Grazie a questi gli alleati si presero Roma. Erano talmente crudeli e violenti che perfino i soldati nazisti preferivano buttarsi dalle alture che finire in mano loro.
Il loro comandante era il generale francese Augustin Guillaume, mentre a guidare l’intero Cef c’era il generale algerino Alphonse Juin.
Grazie a queste merde sub umani gli italiani vissero quelle che furono simpaticamente chiamate “marocchinate”, descritte bene nel libro, poi diventato film, la Ciociara.
Vittime principali furono donne, bambini e anziane del Frusinate e del Pontino.
Nella primavera del 1944 7 mila soldati marocchini dei Cef, Corps expéditionnaire français en Italie, ottennero il “diritto di preda”, ossia una licenza di stupro, omicidio e saccheggio dei “vinti”. E poi i cattivi erano gli altri….
Le mostruosità, gli orrori e le atrocità come ricompensa, bambini e donne violentati, mutilati e crocifissi.
Riporto l’articolo di Andrea Cionci su La Stampa:
” Ad Ausonia decine di donne furono violentate e uccise, e lo stesso capitò agli uomini che tentavano di difenderle. Dai verbali dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra risulta che anche “due bambini di sei e nove anni subirono violenza”. A S. Andrea, i marocchini stuprarono 30 donne e due uomini; a Vallemaio due sorelle dovettero soddisfare un plotone di 200 goumiers; 300 di questi invece, abusarono di una sessantenne. A Esperia furono 700 le donne violate su una popolazione di 2.500 abitanti.
Anche il parroco, don Alberto Terrilli, nel tentativo di difendere due ragazze, venne legato a un albero e stuprato per una notte intera. Morirà due anni dopo per le lacerazioni interne riportate. A Pico, una ragazza venne crocifissa con la sorella. Dopo la violenza di gruppo, verrà ammazzata.
A Polleca si erano rifugiati circa diecimila sfollati, per lo più donne, vecchi e bambini in un campo provvisorio. Qui si toccò l’apice della bestialità. Luciano Garibaldi scrive che dai reparti marocchini del gen. Guillaume furono stuprate bambine e anziane; gli uomini che reagirono furono sodomizzati, uccisi a raffiche di mitra, evirati o impalati vivi.
Una testimonianza, da un verbale dell’epoca, descrive la loro modalità tipica:
“I soldati marocchini che avevano bussato alla porta e che non venne aperta, abbattuta la porta stessa, colpivano la Rocca con il calcio del moschetto alla testa facendola cadere a terra priva di sensi, quindi veniva trasportata di peso a circa 30 metri dalla casa e violentata mentre il padre, da altri militari, veniva trascinato, malmenato e legato a un albero. Gli astanti terrorizzati non potettero arrecare nessun aiuto alla ragazza e al genitore in quanto un s*****o rimase di guardia con il moschetto puntato sugli stessi”.
I numeri delle vittime non sono certi, alcune fonti parlano di alcune migliaia, altre arrivano fino a 60 mila. Nel 1952 la deputata del Pci Maria Maddalena Rossi presentò un’interrogazione parlamentare sulle “marocchinate”. Dal dibattito venne fuori che il governo riteneva attendibile la cifra di 20 mila vittime di violenze.
E se le donne anziane non vennero risparmiate da percosse e abusi, alle giovani andò ancora peggio: vissero decenni con il marchio d’infamia della “marocchinata”, restarono incinte degli stupratori, morirono suicide o divorate dalle malattie veneree rese letali dalla povertà e dalle scarse condizioni d’igiene. L’onorevole Rossi cercò di portare in Parlamento anche il loro dramma:
“La nostra interpellanza si riferisce dunque ad uno dei drammi più angosciosi, quello delle donne che subirono le violenze delle truppe marocchine della V armata, nel periodo tra l’aprile e il giugno del 1944, dopo la rottura del fronte del Garigliano, quando queste irruppero nella zona del cassinate. Non so se sia vero quello che si dice delle truppe marocchine, cioè che il contratto d’ingaggio di questi mercenari non escluda o addirittura lo consenta il diritto al saccheggio ed alla violenza.
Risulta invece che, dopo gli avvenimenti dolorosi cui ci riferiamo, comandanti ed ufficiali di queste truppe tentarono di correre ai ripari con alcuni casi di punizioni e soprattutto concedendo alle prime vittime qualche soccorso. Comunque, sia stato o meno tollerato, se non concesso, il fatto è che il saccheggio fu compiuto e le violenze ebbero luogo.
Il primo paese del cassinate che le truppe marocchine incontrarono nell’aprile 1944 e la cui popolazione, di circa 600 abitanti, non fosse sfollata fu, se non erro, Esperia. I soldati fecero irruzione nelle case, depredarono, saccheggiarono, e le violenze innominabili furono compiute su uomini e donne. Perfino il parroco fu legato ad un albero e costretto ad assistere allo spettacolo. Poi anche di lui fu compiuto tale scempio che ne morì.
Del resto, a Vallecorsa, non furono risparmiate neppure le suore dell’ordine del Preziosissimo Sangue. A Castro dei Volsci dai registri del comune risultano 42 gli uomini e le donne morti in quei mesi terribili. Come e perché morirono quei 42 cittadini? Ecco alcune informazioni. Molinari Veglia, una ragazza di 17 anni, è violentata sotto gli occhi della madre e poi uccisa con una fucilata; siamo in contrada Monte Lupino, il 27 maggio 1944. Rossi Elisabetta, di circa 50 anni, è sodomizzata dai marocchini perché tenta di difendere le sue due figlie, rispettivamente di 17 e 18 anni: la madre muore e le figlie sono violentate; ciò accade in contrada Farneta. Anche Margherita Molinari, di 55 anni, tenta di salvare la figlia Maria, che ne ha 21: è uccisa con cinque fucilate al ventre! Il bambino Serapiglia Remo, di cinque anni, innocente testimone dei delitti che intorno a lui si compiono, dà fastidio: perciò viene lanciato in aria e lasciato ricadere, così che morrà entro le 24 ore successive per le lesioni riportate. Pare che la madre non abbia ancora ricevuto la pensione; ha altri otto figli e il marito è disoccupato.
Ed ecco alcuni esempi di ciò che accadde a Pastena. La signora Anelli Elvira fu Giuseppe ha il braccio troncato da una scarica di mitra: essa morirà tubercolotica quattro anni dopo, ma certo le conseguenze della violenza subita nell’aprile del 1944 ne hanno affrettato la fine.
Antonini Giuseppe fu Francesco viene ucciso dai marocchini in contrada Santa Croce e nessuno sa dove sia stato sepolto, perché il cadavere è portato via immediatamente dai francesi. Giuseppe Faiola fu Marco è ucciso dai marocchini in contrada Cerviso. A Vallecorsa, Luigi Mauri fu Martino muore il 26 maggio 1944 in contrada Lisano nel tentativo di difendere l’onore della moglie Lauretti Assunta e delle sue quattro figliole. Ancora a Vallecorsa Antonbenedetto Augusto fu Cesare cade il 25 maggio 44, in contrada Visano per difendere l’onore della moglie Nardoni Margherita.
Cade anche Papa Vittorio di Alessandro il 25 maggio 1944, in contrada Santa Lucia, avendo osato difendere la moglie Di Girolamo Rosina di Augusto, ma prima di essere ucciso è egli stesso seviziato. Sacchetti Antonio fu Michele, Sacchetti Eugenio fu Michele, Sacchetti Eugenio fu Vincenzo, Sacchetti Gabriele di Agostino sono bastonati a sangue perché osano difendere l’onore delle rispettive mogli, sorelle, madri; alla fine si ribellano e un marocchino viene ucciso: quali rappresaglie vengano inflitte è facile immaginare.
Fatti analoghi a quelli che ho citato accadono a Pontecorvo, a Sant’Angelo, a San Giorgio a Liri, a Pignatara Intermagna, a Caccano: almeno in una trentina di paesi delle province di Frosinone e di Latina, percorse dalle truppe marocchine. Quante donne abbiano subito violenza da parte delle truppe marocchine nessuno sa con esattezza né forse si saprà mai.
Quello che noi possiamo però rilevare dai dati che sono a nostra conoscenza è che in maggioranza si tratta di donne vecchie, anzi vecchissime, come quelle di Agata Baris, nata nel 1882, e come molte altre, con cui ho avuto io stessa occasione di parlare, che oggi hanno 70-75 ed anche 80 anni. L’età avrebbe dovuto costituire una difesa per queste donne, o almeno così esse ritenevano. Infatti alcune non pensarono neppure di mettersi in salvo, anzi, convinte che sarebbero state rispettate, affrontarono esse stesse i marocchini per dar tempo alle giovani di nascondersi, di scappare, di rifugiarsi su, tra le montagne. Invece furono seviziate e violentate, come per esempio quella Emanuela Valente della borgata Santangelo, che oggi conta 70 anni, che ebbe i polsi fratturati.
Già nello sbarco in Sicilia le truppe marocchine al seguito degli Alleati si erano rese protagoniste di violenze sulle donne. Ma a Capizzi (Messina) la popolazione locale si vendicò ammazzando a roncolate, evirando e dando i pasto ai maiali i colpevoli, col benestare degli anglo-americani.
Il Vaticano chiese e ottenne che i Goumiers non entrassero a Roma. Non andò bene invece ai senesi, nella cui provincia i reparti maghrebini si resero di nuovo protagonisti di violenze dopo aver scacciato i nazisti verso nord.
Qui ricominciarono le violenze a Siena, ad Abbadia S. Salvatore, Radicofani, Murlo, Strove, Poggibonsi, Elsa, S. Quirico d’Orcia, Colle Val d’Elsa. Perfino membri della Resistenza dovettero subire gli abusi. Come testimonia il partigiano rosso Enzo Nizza: “Ad Abbadia contammo ben sessanta vittime di truci violenze, avvenute sotto gli occhi dei loro familiari. Una delle vittime fu la compagna Lidia, la nostra staffetta. Anche il compagno Paolo, avvicinato con una scusa, fu poi violentato da sette marocchini. I comandi francesi, alle nostre proteste, risposero che era tradizione delle loro truppe coloniali ricevere un simile premio dopo una difficile battaglia”.
[…] Solo nell’imminenza del ritorno in Francia, alcuni dei violentatori furono puniti. Un partigiano della brigata rossa “Spartaco Lavagnini” ricorda: “Sei marocchini vennero fucilati sul posto perché avevano violentato una donna. Il capitano (francese n.d.r.) ebbe a dirmi: “Questa gente sa combattere benissimo, però meno ne riportiamo in Francia, meglio è”. Poco prima che i marocchini toccassero il suolo provenzale, i loro comandanti, quindi, avevano deciso di riportarli severamente all’ordine tanto che non si registrarono mai violenze ai danni di donne francesi. Una volta in Germania meridionale, invece, potranno dare nuovamente sfogo ai loro istinti sulle donne tedesche, come riportano alcuni recenti studi. Segno, quindi, che le efferatezze di queste truppe avrebbero potuto essere certamente controllate e disciplinate.”
Ricordatelo BENE TUTTI quando qualche ignorante vi parlerà di comunismo, di partigiani eroi, di alleati e di liberazione!



